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mercoledì 20 aprile 2011

Quarta puntata

Ciao a tutti,
scusate il ritardo ma in questi giorni sono stato piuttosto indaffarato...
Comunque, nell'ultima puntata avevo lasciato appesa la seconda domanda di Lorenzo:

2) nel caso in cui ci fosse un incidente in una qualsiasi delle centrali europee (es. tedesca, francese o svizzera o di qualche altro stato piu lontano, anche non europeo...a proposito, sarebbe utile sapere quali stati "vicini" hanno centrali nucleari, quante, dove e che grado di sicurezza hanno...), gli effetti ricadrebbero pesantemente anche su di noi, e orientativamente in che misura ?
E a tal proposito quale è il raggio chilometrico entro il quale ci ricadiamo anche noi ? Sarebbe interessante saperlo: possiamo pure votare contro il referendum e non avere centrali all'interno del nostro territorio, ma se i rischi connessi ad altre centrali di altri stati vicini ricadono comunque su di noi il problema comunque sussiste...con la beffa che loro hanno vantaggi economici dall'uso del nucleare, e noi solo svantaggi (importiamo a caro prezzo la loro energia e ne condividiamo il grave rischio di incidenti...cornuti e mazziati !).


Gli incidenti che possono capitare ad un reattore nucleare o ad un impianto di riprocessamento, sono di tipo ed intensità molto differenti e mediamente la loro frequenza è l'inverso della loro gravità. Immaginiamo una piramide. In testa ci sono gli incidenti gravissimi (massimo livello INES: 7), man mano che si scende di livello, il numero di incidenti registrati aumenta ma la loro pericolosità diminuisce.

La classificazione INES (che significa International Nuclear Event Scale), è gestita dalla AIEA, l'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica e dalla NEA (Agenzia per l'Energia Nucleare dell'OCSE). Questa classificazione si basa su 3 principali fattori: l'emissione di radionuclidi nell'ambiente, l'eventuale esposizione ad irraggiamento delle persone ed il fallimento dei sistemi di sicurezza e controllo delle attività nucleari. I tre fattori sono indipendenti quindi un incidente che non ha comportato il ferimento di alcuna persona può comunque essere considerato grave se ha disperso nell'ambiente quantità non trascurabili di radionuclidi o se i sistemi di sicurezza hanno fallito nel loro intento, e viceversa. La scala è di tipo logaritmico (come la Richter per i terremoti) quindi passando da un livello all'altro la gravità dell'evento aumenta di 10 volte.

E' possibile trovare una lista dettagliata degli ultimi incidenti nucleari classificati nella scala INES in un anfratto del sito della AIEA. Non avendo però un accesso autorizzato è possibile vedere solo una lista molto parziale che parte dal 25 Ottobre 2010 e riporta 22 eventi fino ad oggi. 2 riguardano apparecchiature mediche, 6 riguardano l'ormai famosa Fukushima Daiichi, i restanti 14 riguardano reattori, miniere e impianti di riprocessamento sparsi per il mondo, dal Belgio al Messico passando per la Korea. La valutazione INES di questi incidenti, Daiichi a parte, va da 1 a 3, ciò significa che nessuno di questi è stato particolarmente grave ma ognuno ha comportato una situazione di rischio oppure l'emissione di alcune quantità di radiazioni nell'ambiente o ancora l'esposizione di qualche persona. Ovviamente questi dati riguardano solo attività civili e, per essere registrati, debbono essere resi pubblici da qualcuno...

In caso di incidente grave esistono a mio parere due classi di problematiche che l'incidente stesso comporta. La prima, a breve termine, consiste nel numero di vittime o di feriti o di esposti nel momento in cui l'evento avviene o comunque nei pochi mesi successivi in cui si tenta la messa in sicurezza dell'impianto. La seconda, a lungo termine, consiste nei chilometri quadri di terreno che dovranno essere abbandonati perché inabitabili per i decenni a venire.

Allego una mappa delle misurazioni che vanno dal 30 marzo al 3 aprile della radioattività nei dintorni della centrale di Fukushima. Come si può vedere, effetti non trascurabili sono presenti anche a grande distanza. L'attività però decresce molto rapidamente. Fidandoci della mappa abbiamo valori da 50 a 100 volte superiori nel raggio dei 30 chilometri rispetto a quanto registrato oltre gli 80. Quindi, per rispondere alla domanda di Lorenzo: certo, gli effetti possono estendersi a distanze molto elevate dal luogo dell'incidente. Ma questi effetti sono molto blandi se paragonati ai danni provocati nelle zone più limitrofe, alcune delle quali, a seconda dei radionuclidi presenti, potrebbero non essere più abitabili. Inoltre gli incidenti meno gravi ma, ahimè, molto più frequenti, coinvolgono zone limitate, magari un fiume da cui la centrale preleva acqua per il raffreddamento o un tratto di costa o un campo agricolo limitrofo.

In definitiva a mio parere la differenza tra avere un impianto in patria ed uno al confine è sostanziale. Nel primo caso le conseguenze di eventi di qualsiasi tipo ricadranno tutte, ovviamente, sul nostro territorio. Nel secondo caso no, potremmo essere coinvolti solo in casi gravi e comunque in maniera più limitata.

Rimangono forti perplessità poi sulla convenienza economica di questa scelta. A quanto pare giusto ieri queste perplessità sono venute anche al ministro Tremonti.

In ultimo vi aggiorno sulla situazione dei reattori giapponesi. Le attività di iniezione di acqua e di azoto nei reattori vanno avanti. La prima serve a raffreddare il combustibile, il secondo dovrebbe scongiurare la possibilità che avvengano ulteriori esplosioni di idrogeno nel nucleo del reattore.
Il 19 aprile nei reattori 1, 2 e 3 le barre di combustibile erano scoperte dall'acqua per un altezza variabile da 1,5 a 1,85 metri. La temperatura variava dai 102 ai 167 gradi centigradi nonostante i 3 reattori siano "spenti" dall'11 marzo.

Passo e chiudo, alla prossima.

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